Ossani

Racconto inedito vincitore del premio "Gianni Cordone di Vigevano" 1998

a papà

Tutte le volte che lo va a trovare, Luca chiede al nonno di raccontargli la fiaba di Pollicino, e il nonno lo accontenta. Oggi, però, è un giorno speciale: Luca e il nonno hanno visto in televisione tanti bambini che arrivano da un paese lontano a bordo di una nave.


Anche il nonno ha notato gli occhi pieni di paura di quei bambini, e nella sua testa rotolano i ricordi. Così, quando Luca gli chiede:
- Mi racconti la fiaba di Pollicino? –, il nonno risponde:
- Ti racconterò una storia nuova, che assomiglia a quella di Pollicino, e parla di tanto tempo fa ...
- Sono come Pollicino... - mormora Carlìn, strappando rabbioso una zolla d'erba, umida di nebbia, e lanciandola oltre la strada.
La storia di Pollicino gli ha tenuto compagnia per tutto il viaggio: Pollicino che scappa di casa, Pollicino che imbroglia l'orco, Pollicino che ritorna ricco. Quante volte, prima di dormire, ha chiesto a sua sorella di raccontargliela? Tante, fino a far protestare i fratelli, che hanno sonno. Carlìn di solito si addormenta per ultimo, e sa sempre quello che farà domani. Dei fratelli è il capo, anche se non è il più vecchio: prima di lui c'è Giuàn che ha già dieci anni, ma se ne sta sempre seduto vicino al camino, a ridere da solo, e c'è Lina, che ne ha nove, e che cura tutti e cinque quando la mamma lavora in risaia. Lei non ha tempo di fare il capo.
Carlìn si stringe nella giacca, che è tutta lisa ai bordi, e si ripara dal freddo appoggiandosi a un'incavatura del tronco.
- Una nebbia da boiassi! – esclama ad alta voce, per farsi coraggio, imitando il papà. Poi si cala il cappello sugli occhi e cerca di dormire. Riposerà un po', dopo si rimetterà in viaggio. Vuole arrivare in città all'alba, quando al porto attraccheranno le navi.
La sera, anche il papà si tira il cappello sugli occhi, e si addormenta sulla seggiola, ciondolando la testa come una campana. La mamma no, lei non dorme mai davanti a loro. Lava i piatti in silenzio, con lo sguardo chiuso. Da quando papà ha perso il lavoro, la mamma non canta più.
Carlìn l'ha vista l'ultima volta quella mattina. Lavava le lenzuola alla fontana, lui stava per avvicinarsi a chiedere una cosa, ma poi era arrivata la Contessa, e si era nascosto dietro un muretto, ad ascoltare i discorsi dei grandi.
- Senti, Centa, - aveva detto la Contessa, sedendosi sul bordi della vasca, attenta a non sciupare il vestito di seta, - tuo marito mi ha raccontato i guai che state passando, e ho una proposta da farti: che ne diresti se mi prendessi il Carlìn? Lo farei studiare da dottore, lui che è così intelligente. Rimarrebbe sempre tuo figlio, ma vivrebbe a palazzo con noi. Sarebbe una bella fortuna anche per te, con una bocca in meno da sfamare. E in più ti darei qualche lira... così, per ringraziarti... del prestito.
La mamma era rimasta a lungo in silenzio, e Carlìn era scappato via dal nascondiglio, senza più ascoltare, verso la strada che porta in città.
La Contessa sorrideva generosa, ma la contadina era seria. Aveva tolto un lenzuolo dalla vasca e l'aveva sbattuto con più energia del necessario contro il sasso del lavatoio, schizzando acqua sul vestito della signora.
- Carlìn resta a casa sua.
- Ripensaci, Centa. Chiedilo anche a tuo marito...
- Sui figli decido io- aveva risposto Centa, con la faccia di pietra.
- Allora cerca di decidere anche per il loro bene. E io, che di figli non ne ho, e ne vorrei, ti consiglio di cambiare idea.
- Arrivederla, Contessa. E grazie del pensiero – l'aveva congedata Centa, senza alzare gli occhi, estraendo un lenzuolo grondante da quella vasca nera, che fumava nella nebbia.
E' quasi buio. Sotto il cappello, Carlìn ha gli occhi semichiusi. Ripensa a Pollicino, che era il più intelligente dei fratelli. Anche i suoi fratelli si lamentano quando non c'è abbastanza cibo per togliersi la fame. Carlìn no. Lui si arrampica sul pero del vicino e ruba la frutta, poi va all'osteria e si fa regalare dalla padrona le bucce delle angurie, su cui i clienti hanno lasciato tracce di polpa. I fratelli gli stanno dietro come anatroccoli, e se hanno fame lui li accontenta. Una volta, per rubare delle mele, è caduto dal ramo, e un sasso gli si è conficcato nel palmo della mano. La mamma ha dovuto chiamare il dottore per toglierglielo, e Carlìn adesso ha una cicatrice a forma di stella: - E' il segno del capo – ha detto ai fratelli, che lo rispettano ancora di più per questo.
Carlìn tocca con il pollice dell'altra mano la stella sul palmo:
"Domani" pensa, "mi imbarcherò su una nave, andrò lontano, a cercare un lavoro, e poi, come Pollicino, tornerò carico di soldi e con un paio di scarpe di pelle, se non troverò gli stivali delle sette leghe. Le mostrerò a quella strega della Contessa, passandole davanti la domenica alla messa, insieme alla mamma, che avrà sulle spalle uno scialle nuovo."
Al ricordo della mamma, a Carlìn sfugge un singhiozzo. Allora stringe forte le palpebre, ripetendo dentro di sé: "Pollicino non aveva paura... Pollicino non aveva paura..."
Ma il pensiero, nella testa, è una bomba innescata, che alla fine esplode:
"Se Pollicino non aveva paura, perché io invece ce l' ho?".
Carlìn trema e sente freddo, vorrebbe essere a casa... Le sue mani sono premute contro le palpebre, fino a fargli male agli occhi. Non vuole più pensare.
- Carlìn, stai bene?
Qualcuno gli solleva il cappello.
- E' qui, mamma, l'ho trovato! – grida Lina, verso la strada, poi si gira a guardarlo: - Ma sei diventato matto, ad andare via senza dire niente? Ora la sentirai, la mamma...
Tra i cespugli appare la figura della mamma. Carlìn salta in piedi e cerca di ripararsi dagli schiaffi.
- Mi hai fatto morire di paura. Perché sei scappato?
La mamma ha le mani secche, la faccia bianca, e la voce le sta per andare in pezzi. Carlìn vorrebbe dirle che salirà su una nave, che diventeranno ricchi, che lei non dovrà preoccuparsi dei soldi che non ci sono, che ci penserà lui... invece sussurra:
- Non voglio andare a vivere con la Contessa!
La mamma ha capito. Non dice niente, ma ha capito ancora una volta questo figlio diverso dagli altri. Quando ha voglia di scherzare, dice di averlo partorito la notte in cui il diavolo aveva mal di pancia. Allunga la mano e afferra quella di Carlìn:
- La Contessa resterà a casa sua, - dice, stringendogliela forte, - e tu nella tua, hai capito? Io, i figli non li vendo. E guai a te se mi farai prendere un altro spavento come questo!
Gli scuote la mano, quella con la stella sul palmo, poi, come per caso, gli sfiora il viso, e a Carlìn sembra una carezza. E' un attimo, poi la mamma si ricompone nel viso severo di sempre.
- Torniamo a casa – dice.
Nel grande letto che li accoglie tutti, quella sera non c'è la solita baraonda. Nessuno fa il solletico o tenta una battaglia sotto il lenzuolo. Sono tutti fermi e diritti come salami, sotto le coperte rimboccate, con solo il naso fuori, a respirare l'aria gelida della stanza.
I fratelli sono in attesa che Carlìn parli, ma lui fa finta di niente, e fissa il soffitto a occhi spalancati.
- Vi racconto la fiaba di Pollicino?- rompe il silenzio Lina.
- Voglio la storia di Carlìn che va in città! – protesta Rita.
Questa frase è sufficiente a farli esplodere tutti:
- Hai avuto paura, da solo, per strada, al buio?
- E se salivi sulla nave, che cosa facevi?
- E' vero che hai incontrato il Mago Zapacarbòn?
E allora Carlìn si arrende, e inventa per loro un'avventura tutta diversa da quella che gli è capitata, con orchi e fantasmi. Il finale, però, lo rimanda:
- Quando sarò grande, partirò ancora, e tornerò più ricco della Contessa!
- Uhè, Carlìn!- gli prende la mano Peppino, steso vicino a lui come un baccalà, - quando decidi di andare, la prossima volta veniamo tutti con te! – Poi gli tocca la cicatrice a stella, e aggiunge:- Tu sei sempre il capo!
- Tu per noi sei come Pollicino! – confermano i fratelli, dondolando la testa su e giù, come ciuchini.
Carlìn tira il lenzuolo sugli occhi:
"Le fiabe" pensa "raccontano un sacco di bugie!"
- Non è una fiaba, questa! – protesta Luca.
- Però ti è piaciuta lo stesso? – chiede il nonno. Luca non risponde.
- Non ci sono più bambini che hanno fame, vero nonno?- sussurra.
- Ce ne sono ancora tanti, purtroppo...
- Noi però non ne conosciamo! Sono solo quelli che abbiamo visto in televisione, vero?
Il nonno annuisce: - Anche loro, come altri... come noi, tanti anni fa.
- Ma allora, tu li hai conosciuti!
- Molti sono partiti, altri sono rimasti...- Il nonno alza le spalle: - Quei bambini sulla nave mi hanno ricordato occhi che ho già visto...
- Hai conosciuto anche Carlìn, nonno?
Il nonno, che prima sembrava triste, fa un sorrisino furbo: - Lo conosci anche tu, non l'hai capito?
Luca spalanca gli occhi, il nonno gli prende la mano, gira la sua all'insù e, sul palmo, gli fa toccare una cicatrice a forma di stella.


Biografia

Chiara Lossani vive a due passi da Milano, nella Casa delle Tartarughe, insieme a Marta, sua figlia, a Tino, il marito-prof, alle gatte Molli e Rosetta, a Estéban il tartarugo e a Volata e Trasvolata, due tortore che hanno costruito il nido sotto il tetto.
Laureata in lingue e letterature moderne, è da molti anni direttrice della Biblioteca Civica di Trezzano sul Naviglio, in provincia di Milano, dove si occupa anche della promozione alla lettura e dove ha fondato una Biblioteca dei Ragazzi.
Si considera molto fortunata di poter lavorare tra i libri. Le piace molto leggere e ascoltare storie, anche quelle di tutti i giorni, quelle che si racconta la gente sul tram o al bar.
Dal 1995 ha cominciato a pubblicare le sue: I confini della tigre (E. Elle), Il viaggio di Abar e Babir (Arka), I segreti di Jakim (Bruno Mondadori Paravia), Stregata da un pitone (Giunti), Una torre contro il cielo ( Ed. Paoline).
Con i suoi racconti ha vinto alcuni premi letterari e segnalazioni speciali.
Le sue sono storie per ragazzi che raccontano il cambiamento, il passaggio e la crescita, in cui trova spesso spazio l'amicizia con un animale.
"L'incontro con un animale" afferma con convinzione, "favorisce la scoperta e la comprensione di ciò che di misterioso e di diverso vive fuori e dentro di noi. Il cuore dei bambini, come quello degli animali, è vicino al cuore del mondo. Per questo amo gli animali e mi piace incontrare i bambini che hanno letto le mie storie: da loro imparo un sacco di cose che non ho ancora capito".
Pigra come un gatto e lenta come una tartaruga, sogna di riuscire a raggiungere l'Himalaya per ascoltare la madre di tutte le storie: il silenzio.