Amir Madani

"Misteri Persiani" di Antonello Sacchetti
Introduzione di Amir Madani
Le pagine di questo libro (come quello precedente scritto dall’autore, I ragazzi di Teheran) sono l’insieme di osservazioni, riflessioni, analisi, resoconti, notizie in cui la passione e la serietà sono coniugate con precise nozioni di carattere storico-culturale anche di stampo accademico.

Sembra che un filo magico reale e realista renda il semplice racconto continuo, compatto e coe¬rente. L’autore parla e racconta, con la semplicità di un ruscello che scorre sotto un sereno cielo azzurro raggiungendo la pianura dalle alte montagne, i personaggi, gli usi e costumi, gli stati d’animo, i luoghi, gli spazi, le città che ha visto e conosciuto direttamente. In questo l’autore, per l’acutezza delle os¬servazioni, sembra un diretto discendente dei viaggiatori europei come Marco Polo (1254-1324), Ambrogio Contarini (1474-1475), Ruy Gonzalez de Cla¬vijo (1404-1405), Jean-Baptiste Tavernier (1629-1635), Jean Chardin (1665-1677), Eng von Kaempfer (1684-1688), Arminius Vámbéry (1862-1863) e soprattutto il romano Pietro della Valle (1616-1623), che riesce a raggiungere la corte dei re sufi (Safavidi 1501-1736.); quella corte la cui fama dei fasti e splendori rientra nei sogni e desideri di Shakespeare, il quale nella sua Dodice¬sima Notte esprime il desiderio di trascorrerci appunto qualche nottata.
I grandi viaggiatori del passato erano in realtà un coacervo di scrittori, inviati speciali, giornalisti, mercanti, ambasciatori, missionari e a volte spie come è il caso di Arminius Vámbéry. Le memorie, le lettere, i libri di viaggio di ciascuno di essi sono caratterizzati secondo la sensibilità umana e gli indirizzi professionali degli autori. Quel che colpisce di Sacchetti è la sua straordina¬ria sensibilità umana: descrive cioè un semplice evento come farebbe non un iranista ma un iranofilo. Un Iran che nella sua continuità storica e nella sua cultura sincretistica è stato non solo terra di grandi re, ma anche il terreno d’incontro e di scontro tra molti popoli e civiltà; un Iran di famose correnti di pensiero angelico-mistico nel tentativo di avvicinare Dio all’uomo ma an¬che di grandi movimenti sociali e di note personalità che hanno combattuto contro il dispotismo. L’Iran (la Persia), come potenza orientale dell’evo antico e alla stregua del suo omologo occidentale (cioè Roma), è stato un impero civilizzatore e promulgatore di leggi. Un Iran che, convertendosi in parte e in diverse tappe all’Islam, ha avvicinato la religione primitiva al raffinato pensiero poetico-mistico-filosofico producendo pensatori come Ghazali (1058-1111), precursore storico del dubbio logico e visto da più parti come predecessore di Cartesio, letto e citato da San Tommaso D’Aquino.
L’Iran dei grandi filosofi, medici, matematici e fisici come Avicenna, Farabi, Zakariya Razi, e Shahab al-Din Suhrawardi il martire, dei grandi poeti come Ferdowsī Tūsī, Hafez di Shiraz, Sheikh Saadi, Mawlānā Jalāl-ad-Dīn Rumi, Muhammad Balkhī, Nezāmi-ye Ganjavī, la lettura del quale è consigliata tra i classici da Italo Calvino. L’Iran inteso come l’area di lingua persiana che, dal¬l’India persofona dei Gran Moghul all’Asia Centrale e il Turkestan cinese fino alle coste dell’Adriatico ha prodotto pensatori come Iqbal di Lahore e poeti come l’“Albanese” Naim Ferasheri (che ‹‹era stato in missione a Salonicco tra il 1915 e il 1917 ed era poi caduto nella primavera di quell’anno durante in¬fruttuosa operazione britannica nel settore Doiran››2 che scrivevano appunto in lingua persiana.
L’Iran dei re sufi (Safavidi) alleata dello Stato pontificio (si veda la corri¬spondenza tra il re Abbas il Grande e Paolo V). L’Iran del 1800 della dinastia di Qajar, ovvero l’immagine di una Persia lontana dai fasti del passato e in piena decadenza. Quando Filippo De Filippi, inviato del re d’Italia e membro della Reale Accademia delle Scienze di Torino, la raggiunge nel 1862, scrive con sorpresa: ‹‹Senza che il governo se ne curi gran fatto, l’istruzione elemen¬tare è più diffusa in Persia che in alcune province della stessa Europa. (…) Quasi tutto coloro che al vestito si palesano superiori all’umile plebe sanno leggere e scrivere. I persiani riconoscono la supremazia degli europei in tutto quanto si riferisce al benessere materiale della vita ma in fatto di teologia, di filosofia e di letteratura essi tengono gli europei per bambini, o senza cerimo¬nie per barbari››3.
L’Iran dell’intellighenzia illuminata formata in Europa e dei grandi pen¬satori del riformismo della rivoluzione costituzionalista del 1906 che, nata dalle dinamiche endemiche e con la massiccia partecipazione dei ceti popolari, si è ispirata anche alla rivoluzione francese. Una rivoluzione unica in tutto l’Oriente, in quanto civile e ad alta partecipazione e diversa dalle contempo¬ranee, come i cambiamenti dei Giovani Turchi in Turchia e la Rivoluzione delle Delegazioni in Cina, ambedue di stampo militare. L’Iran del movimento democratico di Mossadegh, giurista di alto profilo democraticamente eletto che viene destituito da un golpe angloamericano nel 1953. Un golpe che, chiudendo quella esperienza democratica, diede inizio al radicalismo dilagante di stampo confessionale in tutta la regione mediorientale. L’Iran delle poetesse come Tahereh Borghani, Parvin E’tesami, Forugh Farrokhzad e degli scrittori come Hedayat (morto suicida a Parigi nel 1963), dei pensatori come Ehsan Tabari e poeti come Ahmad Shampoo, la cui paura è di morire in una terra – paradiso da culto infernale – “dove il salario del becchino è superiore ri¬spetto al valore della libertà dell’uomo”. L’Iran della rivoluzione del febbraio 1979, legata al nome dell’ayatollah Khomeini: una rivoluzione democratica con istanze di libertà e diritti ancora da raggiungere. Una rivoluzione caratte¬rizzata da tendenze riarcaizzanti e passatiste del tradizionalismo da un lato e da tendenze moderniste e di apertura verso l’esterno e soprattutto verso l’Europa. L’Iran dell’attivismo e protagonismo del mondo della cultura e del lavoro, delle lotte delle donne coraggiose e de I Ragazzi di Teheran, esempi di una so¬cietà civile giovane (il 70% della popolazione ha meno di 30 anni) e dinamica sempre più avanti rispetto al governo stesso.
Come racconta l’autore stesso, un giorno a Piazza Venezia (nella splendida città eterna, cioè Roma, che gli ha dato i natali) una ragazza iraniana lo ferma e comincia a parlargli in lingua persiana con un’aria familiare. L’autore, sor¬preso, dice di non capire la lingua e di essere un italiano e non un iraniano come la ragazza aveva pensato. Questo evento segna l’inizio di una passione che lo porterà più volte in Iran come viaggiatore e osservatore “semplice” e senza un mandato. Una semplicità che si trasforma in un lavoro serio basato sullo studio più profondo e sull’osservazione più acuta, permeata di amore e passione. Tutto questo lavoro “semplice” si svolge nell’ambito di un’etica di rispetto come se l’autore volesse trovare attraverso il dialogo esempi di convi¬venza umana.
È straordinario come l’autore coniughi le acute osservazioni di Pier Paolo Pasolini sulla città di Esfahan con quel che coglie nel pensiero del grande e compianto accademico italiano Alessandro Bausani sull’apertura e chiusura ciclica che caratterizzano la civiltà iranica sin dagli albori: un’apertura verso l’esterno e verso le altre culture, seguita da una ri-arcaicizazzione che si mani¬festa in un ritorno anche violento alle proprie tradizioni4.
Sacchetti, con racconti apparentemente semplici ma pieni di osservazioni, considerazioni e riflessioni di carattere storico e socioculturale e con il suo ri¬torno allo stile dei viaggiatori del passato ma adattato allo spirito di oggi, sem¬bra che abbia intuito la necessità di dover colmare il vuoto che separa il mondo accademico e le discipline cosiddette classiche dal mondo del giornalismo che segue l’attualità. Una caratteristica tipica degli studi dell’orientalismo italiano che non cerca di avvicinare lo studio dell’attualità e di aiutare il giornalismo più serio a spiegare la realtà delle aree geografico-culturali mediorientale non più complesse da altre aree.
Una complessità dovuta soprattutto alla partita geopolitica globale che si sta giocando nel modo più sanguinoso nell’area mediorientale per il controllo delle risorse energetiche in uno scenario che vede le guerre dell’amministrazio¬ne neocon degli Usa (vedi Iraq, Afghanistan) ed emergere delle potenze asiati¬che (Cina, India, Russia ) e l’immobilismo di un’Europa che vive da tempo un stato pre-esistenziale e pericolosamente tarda a presentarsi come global player politico anche se per ragioni socio-economiche, storico-culturali dovrebbe es¬sere la più interessata al medioriente.
Sacchetti giornalisticamente si ispira a un orientalismo che a livello accade¬mico, in particolar modo nell’opera di Bausani, si basa su uno sforzo sincero per la conoscenza e per un convivere umano nell’ambito del dialogo, ed è sostanzialmente diverso da quello di nomi altisonanti come Bernard Lewis o Samuel Huntington che, tra un libro e l’altro, fanno consulenza al Pentagono e sono teorici-pensatori dello scontro tra le civiltà e paladini del neocoloniali¬smo basato sulla guerra senza confine e senza limite di tempo.
Il compito del mondo accademico, che è stato ed è l’esempio di onestà intellettuale nell’aiutare il giornalismo più serio e corretto, diventa più arduo in questi tempi, in cui il potere dominante, attraverso vari conservatorismi delle congreghe neocon (che praticano politiche neocoloniali in nome delle democrazie e libertà formali), ha trasformato una gran parte dei giornalisti in epigoni e insetti che spacciano i comunicati dei dicasteri di guerra come notizie e dopo la fabbricazione del giornalista embedded ha dato origine alla nuova specie dello scrittore embedded (vedi Khaled Hosseini e il suo Mille Splendidi Soli).
L’autore, seguendo la tradizione della ricerca sincera all’insegna del dia¬logo e del convivere umano e portando avanti la sensibilità della tradizione italico-latina nelle sue varie anime, prende posizione di fronte al pensiero di autori come Bernard Lewis e Samuel Huntington, ovvero i fautori del¬lo scontro e del monologo. Una posizione che con il suo realismo sul pia¬no materiale e la pacatezza del linguaggio e del pensiero potrebbe suggerirci anche la necessità del superamento da un lato la durezza della polemica di scrittori come Edward Said (che crede che questo Oriente sia un’invenzione delle scuole orientaliste dell’Occidente) e dall’altro il pensiero di autorevoli pensatori come Hans Kung che, credendo nel dialogo, lo cercano soprattutto a livello interreligioso, trascurando l’uomo e i suoi diritti nelle sue varie sfere esistenziali (religione compresa)5.
Sacchetti attratto dalle diversità, le considera una ricchezza capace di rom¬pere la monotonia e di diminuire la noia (per usare le parole di Sciascia e Cioran) vedendo la vita dell’altro come l’immagine della propria. Le pagine del libro di Sacchetti sono la testimonianza dello sforzo per capire avvicinan¬do le nozioni al racconto nello spirito di superamento delle divisioni tribali (etnico, culturali, geografiche) che sono inventate artificiosamente dai fautori del potere per poter perpetuare il proprio dominio. Picasso nel girare, capo¬volgere, sezionare un oggetto cercava di trovare la quarta dimensione nella rappresentazione artistica. Secondo i futuristi – che volevano aggiungere alla simultaneità della rappresentazione la continuità – questo metodo distruggeva l’oggetto nella sua continuità spaziale.
Nelle pagine di questo libro possiamo vedere come sagge riflessioni, acute osservazioni, sincere considerazioni e illuminate citazioni vengono magistral¬mente coniugate alle nozioni di stampo accademico e attraverso il ritmo pacato del racconto letterario e un realismo magico presentano un moderno e piace¬vole lavoro nella continuità. Il libro ci racconta come da millenni etnie (come persiani, azeri, curdi, armeni, baluchi, turkmeni) e vari indirizzi di pensiero e di fede nell’ambito di una cultura sincretistica convivono all’insegna dell’etica del rispetto e in pace. Questo all’autore sembra un modello da trasformare in un manifesto. Perciò si chiede le ragioni di tanta pressione sull’Iran attuale. Il perché – come abbiamo già detto – va cercato nella guerra geopolitica che si sta combattendo nel modo più sanguinoso per accaparrare le risorse (vedi le guer¬re in Iraq) e attraverso loro controllo mettersi in una posizione di vantaggio nei confronti degli avversari: l’altopiano iranico tra il Caspio e il Golfo Persico è al centro delle maggiori risorse energetiche e chi metterà le mani su queste risorse si troverà in una posizione di vantaggio sui competitori globali, attuali e futuri consumatori (l’Europa e l’Asia che gravita intorno a Cina, Russia e India).
Il libro ci presenta pagine molto intense e di buona lettura. Si fanno leggere con immenso piacere per tutte queste ragioni e perché Misteri persiani è una testimonianza di quel raro sforzo etico dei nostri tempi che in modo raffinato ci invita a evitare la terra di desolazione e non cadere nella trappola dello scon¬tro e credere nell’unicità della sostanza di vita a prescindere dalla provenienza etnico-culturale e vedere gli esseri umani come membri dello stesso corpo. Dice Sa’adi:

I figli dell’uomo sono membri dello stesso corpo
Che nella creazione son della stessa sostanza

Sembra che Sacchetti, citando una poesia di Shebestari, voglia suggerirci:
Considerate il mondo come il bagliore della luce della Verità.
L’intensità del bagliore è così grande che ha nascosto la verità dentro di sé.
Amir Madani
Roma, settembre 2008


1 Scrittore e intellettuale di origini iraniane.

2 Alan J.B. Wace, Greece untrodeden, traduzione italiana di G.Becatti, Sentieri scono¬sciuti di Grecia, Roma 1969, pag. 71.
3 Filippo De Filippi, Note di un Viaggio in Persia, G.Daelli & C.Editori, Milano 1865, pag. 229.
4 Alessandro Bausani, L’Iran e la sua tradizione millenaria, Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Roma, 1971.

5 Hans Kung, Islam. Passato, presente e futuro, Rizzoli, Milano, 2007.