Baran di Majid Majidi

BARAN di Majid Majidi
Quando l’amore governerà il mondo
di Cristina Miliacca
Fonte.www.ilcinemante.com
L’amore e l’altruismo sono stati dello spirito che si svelano pian piano. Quando l’anima resta attratta dal proprio oggetto “destinato”, si scopre capace di tutto pur di raggiungere l’amato, di renderlo felice, di evitargli tristezze e angosce.

Quando è pura e idealizzata, quasi che il riferimento all’amato sia un “dislocamento” del rapporto col divino, questa attrazione può catalizzare trasformazioni totali della persona, maturazioni, nuovi valori di cui prima la persona non era dotata in quanto completamente o troppo centrata su se stessa, oppure su schemi di pensiero con chiavi di apertura poco visibili dall’interno. L’essenza di questo amore è “compassione”, nel senso in cui Milan Kundera lo ha definito (“L’insostenibile leggerezza dell’essere”): «vivere insieme a qualcuno la sua disgrazia, ma anche provare insieme a lui qualsiasi altro sentimento: gioia, angoscia, felicità, dolore… designa quindi la capacità massima di immaginazione affettiva, l’arte della telepatia delle emozioni… è il sentimento supremo».
E’ il sentimento supremo, la compassione catartica, il filo conduttore di tutto il film, che si snoda sulle azioni di Latif, un ragazzo iraniano addetto alla mansione di custode in un cantiere edile dove lavorano numerosi operai afgani fuggiti clandestinamente dal proprio Paese. Tutto è scherzo e scherno per Latif, forte della impertinenza propria della baldanza giovanile, finché da un incidente sul lavoro scaturisce l’incontro con Baran, una giovanissima afgana che, fingendosi ragazzo, entra a lavorare nel cantiere per sostentare la famiglia. La scoperta da parte di Latif della vera identità della ragazza è una folgorazione che, dapprima indistintamente e poi in maniera sempre più prepotente, comincia a raschiare la superficie dell’anima di Latif ed a scoprirne l’ingenuità fertile e generosa. Latif si lascia coinvolgere emotivamente e spiritualmente dalle sfortune della sua amata e cerca di aiutarla con il proprio sacrificio, ponendola prima del suo stesso ego. E come per una proprietà transitiva dell’amore, il giovane iraniano empaticamente avverte nel dramma di Baran il dramma di tutti gli afgani, costretti a fuggire dal proprio Paese devastato dal conflitto interno ma senza potersi mai distaccare del tutto da esso perché lì restano gli amici, i fratelli, gli altri…
Latif, per quella compassione di cui dicevamo prima, avverte dentro sé il dolore della sua amata, della sua famiglia, dei loro connazionali… Avverte che di fronte a tutto questo egli è impotente, un dramma troppo corale per un solo piccolo uomo, e tuttavia cerca di contribuire come può, perché – sempre in virtù della compassione – anche un solo piccolo sorriso nell’anima della sua amata è per lui altrettanta gioia.
Non si può dire che dal punto di vista tecnico e stilistico il film abbia particolari di notabilità. La narrazione stessa è troppo ingenua per un pubblico occidentale, una sorta di favola senza lieto fine didascalica della situazione afgana, raccontata attraverso l’amore dei due giovani protagonisti. In questo torna un po’ alla ribalta l’eterno dilemma: il cinema deve essere divertimento, puro “entertainment”, oppure deve essere trasformativo, veicolo di messaggi sociali e civili? I due estremi possono, e in che misura, incontrarsi e interpenetrarsi?
Il film ha a modo suo un aspetto di denuncia, proposta in maniera aggraziata, senza il chiasso e lo show a cui siamo abituati. Non aspettate di trovarvi di fronte al film americano, tutto luci e fuochi d’artificio! Neanche al filmone europeo di spessore intellettuale, ridondante di riflessioni e emozioni complesse. Siamo al cospetto di un encomiabile cinematografia, dove la differenza culturale si avverte senza troppe analisi, anzi, è l’essenza stessa della bellezza e della grazia di questo cinema. Questo “distinguo” culturale e il garbo della regia di Majidi sono l’ancora di salvezza di un tipo di film che, se fosse stato europeo o statunitense, avrebbe potuto facilmente essere accusato di irrealistica ingenuità.