Anahid Baklu è nata nel nord dell'Iran nel 1965. Nel 1986 ha pubblicato il lavoro teatrale Taghfire Sarneveshtast (Era colpa del destino). In Iran i suoi testi poetici sono stati pubblicati su varie riviste, e di lei ha scritto il famoso critico Reza Baraheni in Tara Dar Mes (Oro nel reame, 1989). Nel 1992, con Kamiar Shahpur, ha tradotto in persiano Cesare Pavese. Ha pubblicato la raccolta poetica Asre caffé (Il pomeriggio del caffé, 1990).
Vive tra Roma e Dubai, e in Italia ha recitato le sue poesie nel corso di manifestazioni al Palazzo delle Esposizioni e al Caffé Notegen (Roma 1992) ed è stata pubblicata nel Quaderno Mediorientale II della collana "Cittadini della Poesia" (Loggia de'Lanzi 2000).
Fonte.www.sagarana.it



L'ALBERO SPOGLIO DELL'AUTUNNO

L'albero spoglio dell'autunno
già s'annerisce.
Ho strappato la punta delle lancette
che scimmiottano le ore della mia morte
dalle ombre livide inclinate.
E la pianta eretta nella sua crescita incerta
somiglia alle nostre mani.
Vieni, io costantemente ti chiamo,
e la mia luna scioglie il ghiaccio della solitudine.


Mio cuore, cinque piume di luce salite in alto.
Ah, mio cuore, tu così soffice
compagno di giochi della luna
con le ali chiare e oscure
della luna ritardi l'ingresso.
E la luce tremante, nel tempo
del mio sonno, guarda la mia veglia.


Io ho diversi amori gioiosi
che non controllo.
E' stato nella lotteria del sole
che ho perduto la nuvola dell'amore,
sono così le nostre mani di rugiada.
Tu resta, che non manchi la tua ombra dalla mia
testa di girasole

Sai che il cuore dell'albero palpita ancora?
L'albero promesso al tuo scheletro.
I morti delle diverse ombre dicono:
"Almeno non subire il colpo del picchio".
L'albero sorride al picchio
questo è il suo ultimo intento.
Ed io quando aspetto la morte che
i condannati degli alberi allineati sanno,
il comando che libera lo spazio è il vento nell'aria.


La finestra aperta, io chiusa
blu espanso e senza scopo
e il legame ha impiccato la stoffa della tenda.
Dall'albero nessun segno,
all'improvviso il vaso del colore
si rompe in mezzo al cielo.


Io dalle tue labbra sfumate di petunia
ho cantato l'improvvisarsi del giardino.
Avevo gli occhi negli occhi del vino per poterti bere.
Il calice misurato della mia età
è il taglio amaro di un amore ribelle.
Che sia una lunga primavera
la tua anima rosa accanto a me.


Resta, nella curva dell'ultima fine
con il vento che cavalca da solo.
All'ultimo sguardo rapido, femminile,
interamente femminile nella scelta del migliore
per quanto sono frettolosa dimentico nello specchio
la delicata satira del sorriso.
Vaga, con il cavalcare solitario del vento
nella curva dell'ultima fine.


La Storia

Il primo giorno tutto è solitudine
sotto la manciata di cenere
la notte si spargono farfalle di cenere
nel domicilio della solitudine.


Il secondo giorno


Il secondo giorno, dopo il sonno,
l'albero ed io, gli occhi nella nostra tortuosità.
Per amicizia l'albero bussa alla finestra.
Ahimé! Io so che quando lancio il laccio
prima del viaggio, l'albero mi strangola.