La dea Anahid e l’inizio della storia
Herman Vahramian (dr.architect,giornalista)
È una dea che possiede mille laghi e mille fiumi. Sulle rive di questi laghi sono state costruite magnifiche case, ognuna delle quali ha cento finestre luccicanti e mille colonne magnifiche e ogni casa posa su una piattaforma di mille pilastri (dall’Avesta, libro sacro dello zoroastrismo, Yasht, 6).


La dea Anahita (in lingua pahlavide, l’antica lingua persiana), Nahid (in persiano moderno e contemporaneo) e Anahid (in armeno) era adorata particolarmente dalle giovani donne e dalle ragazze di religione zoroastriana (persiane, armene, assire, caldee, azere ecc.), in quanto custode delle acque, della fertilità e della vita. Era la dea della verità e giustizia, talvolta anche della castità, e il suo culto si diffuse quasi come una religione su tutto il territorio caucasico, iraniano e dell’Asia Minore, ovvero Anatolia (in greco Anatolì, Oriente), dove disponeva di numerosi santuari. Santuari ricchissimi – visto che erano venerati non soltanto dai re e dalla classe dirigente iraniana e/o armena, ma anche dai popoli limitrofi, fino al lontano Rajastan, in India.
La pianura di Teheran era dedicata alla dea e comprendeva anche l’antica città di Rey (Raga o Rages in latino, Rhagae in greco), fondata nel X secolo a.C. e posta sulla Via della Seta. Di questi santuari oggi rimangono scarse tracce. In Iran, a Kangavar, villaggio situato nel lontano Kermanscià, nel profondo sud del paese, sopravvive un solo tempio che come struttura architettonica somiglia in modo straordinario ai grandi templi greco-romani conosciuti. In Iran questi templi, assieme a quelli zoroastriani, sono stati rasi al suolo – dapprima, e con grande accanimento, da Alessandro Magno e successivamente dagli arabi islamici sunniti (nell’VIII secolo) e poi dal mongolo Tamerlano, detto Timur lo Zoppo, nel 1220.
L’Islam sciita, che perseguiterà gli zoroastriani lungo tutta la storia iraniana, ha comunque dimostrato un certo rispetto per i templi della dea Anahita. A Yazd – città situata nel centro dell’Iran, che fu un importante centro zoroastriano e oggi è abitata da qualche “sopravvissuto” – ci sono i ruderi di piccoli templi quadrati dedicati a Bi-bì Sciahr-banù o Shahr-zad, la “Signora della città”, ovvero la Regina Anahita, e accanto a vari altri ruderi anche un tempio dedicato a Vahram (il Vittorioso, l’indistruttibile). Sul modello della dea Anahita, l’Islam sciita a sua volta dedicò varie città alle figure femminili sante o santificate: la città santa di Ghom (nell’Iran centrale) alla sciita Santa Masumè; Damasco alla Santa musulmana sunnita Zeynab; persino la Medina, che si trova in Arabia, nel cuore dell’Islam sunnita, a Donna Fatemè, figlia del profeta Mohammad. Anche gli armeni, dopo averla intitolata in un primo tempo ad Aramazd (ossia lo zoroastriano Ahura-Mazda), consacrarono alla dea la città di Anì (“Città di una e mille chiese”, oggi in Turchia).


La città di Rey: una città sfortunata

La sfortuna si accanì contro la città di Rey, sacra a Malek (“Regina del Paese Anahita”), posta 50 chilometri a est dell’attuale Teheran e fondata nel IX secolo a.C.: Alessandro Magno la diede alle fiamme con tutti i codici che vi si trovavano; assassinò tutti i Mogh (“Mago”, Magos in greco, ovverosia componente del clero zoroastriano), distrusse i templi e l’intera città. Secondo lo storico greco Strabone un pesante terremoto completò l’opera. Più tardi, nel 312-280 a.C., il greco Seleucus Nikater ricostruì la città e la ribattezzò con il nome di Europos (Europa), erigendo nelle vicinanze altri tre centri. Uno lo chiamò Apamea in ricordo di sua madre. Gli altri due furono distrutti dagli arabi nell’VIII secolo e successivamente dai mongoli (XIII secolo), e oggi di essi non rimane memoria.
Al pari delle sue “sorelle”, la città di Rey cadrà dapprima sotto giogo arabo e poi sotto quello del mongolo Tamerlano, che invase l’Iran nel Trecento (1219-1223). I sopravvissuti alla distruzione della multietnica Rey – c’erano gli sciiti con le loro filiazioni, quasi una ventina, i musulmani sunniti con due derivazioni, gli ebrei, gli armeni con due diramazioni (chiesa armena e chiesa armena cattolica), i georgiani (idem come gli armeni); c’erano i Lori, gli zoroastriani di varie risme, i bakhtiyari, ecc. – si riversarono in due villaggi: Teheran (oggi capitale dell’Iran, conta all’incirca 12 milioni di abitanti) e Mehran (“Città amorosa”, oggi cancellata dalle mappe). La città di Rey aveva quasi 450mila abitanti (un’enormità per quei tempi). Gli ebrei, i persiani-zingari e gli armeni presero la via verso nord – dapprima verso il Caucaso, l’Asia Minore e i dintorni del Mar Nero e poi verso i Balcani e l’Europa, portando con sé una quantità di mestieri “universalmente validi”, mestieri cioè che nel caso di emigrazione e cambio del paese non sono soggetti a perdere la loro validità. Ad esempio se un avvocato cambiasse proprio paese, dovrebbe iniziare tutto daccapo e per prima cosa apprendere una nuova lingua; non così un dentista. I persiani transumanti, che comunque erano sedentari, divennero zingari, ovvero “girovaghi” e diffusero in tutto il mondo la musica; gli ebrei fecero lo stesso con la finanza – crearono due nuovi stati ebraici nel Nord: Khazero sulla litorale del Mar Caspio ed Eshkenazita (da non confondere con gli Eskenaziti europei) sulle rive del Mar Nero e del Mar d’Azov. Gli armeni si concentrarono sulla medicina e sull’architettura, e così via. Nei secoli successivi e nel XIX-XX secolo tutte e tre queste etnie, com’è noto, vennero pesantemente perseguitate.

Fonte: Associazione di Amicizia Italia- Armenia
https://www.zatik.com/newsvisita.asp?id=1775