Una chiaccherata con Abbas Kiarostami
a cura di Pirooz Ebrahimi

Dubito che negli scritti del Mawlana (Jalaluddin Rumi) vi siano elementi persiani ma bensì una forte e caratterizzata arte universale, amore o morte in tutto il mondo hanno un significato uguale per tutto, la polizia in tutto il mondo è polizia, la verità è ciò che voi vedete nel film o leggete in un libro, il resto è cultura, è il colore, la differenza si ha nel vestito (esteriore).


Come usi la cinepresa, qual è il modo che più ti soddisfa nel riprendere?

“Uso la cinepresa in modo fisso, quando imposto la macchina con rete fissa i rapporti interni e i motivi si creano meglio, oggi nel cinema si ha un ritmo che tende ad accelerare, tenere la macchina fissa è difficile, ma io continuo a vedere così i miei paesaggi e la macchina è per me una piccola stanza dove molto facilmente si può creare un dialogo esterno. Alle spalle abbiamo uno schermo e davanti una vista finita quindi come due specchi riflettono, mi spiego meglio: ho sentito di uno psicologo che riceveva i suoi pazienti all’interno di un’automobile viaggiando e discorrendo con loro, chiuse il suo studio e adottò questa tecnica, andò così per due mesi, poi ricominciò con le visite in studio ma le persone chiesero di poter riprendere le sedute in automobile perché riuscivano a parlare meglio stando seduti uno accanto all’altro anziché di fronte. Io quando sono giù di corda prendo l’automobile e vago, talvolta incontro un’autostoppista e lo carico, da qui nasce un dialogo anche se inevitabilmente sappiamo che non ci rivedremo più, s’innesca un rapporto spontaneo.”

Cosa pensi di trasmettere allo spettatore o al lettore?

“Senza spettatori o lettori il mio lavoro non avrebbe senso, io amo il mio lavoro, penso di fare un cinema universale, anche nelle mie poesie cerco di dare universalità infatti non parlo dell’Iran, ma dubito che negli scritti del Mawlana (Jalaluddin Rumi) vi siano elementi persiani ma bensì una forte e caratterizzata arte universale, amore o morte in tutto il mondo hanno un significato uguale per tutto, la polizia in tutto il mondo è polizia, la verità è ciò che voi vedete nel film o leggete in un libro, il resto è cultura, è il colore, la differenza si ha nel vestito (esteriore).
L’albero è sempre albero ovunque, la pioggia anche, così il cielo l’acqua la siccità, nel mio film il Vento ci porterà via, (il titolo viene preso da una poesia di una poetessa iraniana Forugh Farrokhzad) resto con la cinepresa per molti minuti su di una tartaruga che cammina lentamente dimostrando la sua pazienza, poi viene rovesciata e pazientemente cerca di riprendersi e di continuare il cammino, quanti di noi hanno trovato avversità nella vita, e questa è un’allegoria, il vento è la morte, il vento cattura le foglie e le porta via con sé, ma noi abbiamo siamo molto ben attaccati al nostro albero e non ci lasceremo trascinare molto facilmente”

Perché la musica classica nei suoi film anziché una musica solo iraniana?


“Io penso che la musica classica sia talmente immensa, così come il cielo, e appartiene a tutto il mondo, in Iran abbiamo degli istituti che hanno il compito di preservare la cultura originale iraniana, io penso che questo è un conto ma l’arte deve essere universale, Dobbiamo avere una relazione con l’arte del Mondo, comunicare tramite la verità con un colore abbagliante anziché un vestito tradizionale o esaltando il colore dei capelli.”

In che stato d’animo si trovava quando ha scritto le sue poesie?


“Quello che è certo che non le ho scritte in macchina, ma quando ero rilassato, tra la vita e la morte, tra il sonno e la veglia, dove non ti serve nulla né la luce dove nel buio totale ogni fantasia può partire:
-un onda senza mani addosso, quindi la fantasia che cammina e va avanti senza che tu abbia bisogno di vedere, e l’arte con gli occhi chiusi, esattamente fantasticare-.”

Concludiamo con una poesia di Abbas Kiarostami
“sono anni
che come una pagliuzza
fra le stagioni
me ne vado senza meta”


Pirooz Ebrahimi