Vite non vissute di Maryam Fatemi Far

Lei
Non ti avrei chiesto nulla se avessi avuto poi la certezza che ottenere il mio scopo sarebbe valso a perderti. Questo non vuol dire però toglierti l'imbarazzo di una possibile scelta perché... perché anche se allora mi mancava il coraggio, anche se mi tremavano le gambe al solo pensiero di parlartene, anche se avrei voluto sotterrarmi ad una tua possibile risposta negativa, io prima o poi te lo avrei dovuto chiedere.



Non sapevo quando... quando avrei potuto oltrepassare la soglia dell'indecisione e realizzare che un futuro con te era più che impossibile... irraggiungibile. Sai... non riesco ad intravedere un colpevole in tutto ciò... forse i veri colpevoli erano i tuoi occhi, così indiscreti... curiosi. Mi scrutavano dentro alla ricerca di una semplice risposta che avrebbe potuto motivare, in qualche modo, il fascino della diversità che ti coinvolgeva. Oppure quelle ciocche capricciose di capelli che, giocherellando sul tuo volto, mi allontanavano dalla mia realtà di tutti giorni. E poi... non parliamo della tua eterna immaturità che riusciva con tanta semplicità a farmi uscire dai gangheri dandomi una parvenza isterica che in realtà non mi apparteneva. La nostra è stata sempre una storia che ha vissuto ripetutamente l'ultimo atto dell'ultima scena dell'orgoglio e del pregiudizio. Come uscirò da questa storia se non ci sono mai entrata veramente; ciò che non ha mai avuto inizio... non potrà mai finire.
A dire la verità ho sempre trovato il tuo naso troppo grande e i tuoi occhi troppo vicini e troppo chiari; per dirla tutta anche le tue orecchie avrebbero potuto essere meno a sventola. Non l'hai mai notato? E la tua mano non scorreva bene sulla mia pelle. Ah, e avresti potuto anche evitare di farmi ingelosire... e poi per cosa? Per potermi restituire il favore oppure per poterti sentire amato?
No... non sono arrabbiata, nemmeno dispiaciuta ed è inutile che ti difendi dandomi dell'isterica o complessa. Le colpe sono tutte tue... oppure no... forse sono del destino che ci ha disegnati così.
Come mai adesso che sto facendo le valige... la nostalgia mi stringe così forte il cuore? Che ci metto dentro queste valige? Speranze svanite, amori inconsistenti, essiccati petali di rosa, quella rosa che avevo coltivato nel cuore per donarti il giorno che mi avresti detto, dal profondo dell'anima, Ti Amo. Abiti consumati da una bellissima storia che non abbiamo saputo vivere bene, apprezzare. O Dio... il baby-doll di seta con i sinuosi disegni orientali in arancione, il tuo colore preferito. Mi ricordo ancora l'espressione dei tuoi occhi quando me lo vedesti addosso per la prima ed unica volta. Dopodiché non la portai più... non volevo che perdesse le tracce del tuo sguardo, solo così potevo conservarlo per sempre.

Adesso che chiudo questa maledetta porta alle mie spalle... sento il peso di questa valigia sul mio cuore. Non mi volterò nemmeno... altrimenti non avrò il coraggio di andare avanti... addio vita mia. Addio...

Lui
Mi ricordo ancora l'istante in cui ho girato la chiave, dentro la fessura, per aprire la porta. Il mio cuore perdeva battiti, avevo bisogno di rivederti e di chiarire tutto. La nostra diatriba era una farsa... tutta colpa del mio orgoglio, non mi ha mai permesso di superare certe soglie. E poi... farti ingelosire per qualcosa di cui potevo benissimo fare a meno. Anche se non l'avevo mai ammesso... tu eri parte di me anima mia; mi appartenevi... nel profondo. Ma allora era troppo tardi per dirtelo. Ho sempre affermato che le donne sono di un altro universo, il tuo non l'ho mai potuto nemmeno intravedere..
Non trovarti a casa non è stato facile... ogni cosa era al suo posto... le parole, i fiori freschi, li adoravi, dicevi che non importava se duravano poco; solo loro avevano la capacità di donarti quel magico sorriso spontaneo che non esigeva una sua permanenza nel tempo.
Gli armadi... o Dio mio... quanto erano grandi e quanto vuoti, riuscivano a nascondere anche l'anima umana. Avevi apparecchiato per me... la mia cena era ancora calda, non dovevi essere molto lontana da me. Adesso che ci penso... non mi ricordo… qual è il giorno del tuo compleanno, forse non l'ho mai saputo?
La mia chitarra... che ci faceva sul letto, l'avevi tirata fuori dell’armadio... perché? Mi ricordo ancora quando ti suonai la chitarra per la prima volta, eravamo al telefono, mentre cercavo di accostare alla musica la mia voce stonata. Ti sentivo serena e nel contempo melanconica, sentivo il tuo respiro melodico, silente, abbracciare la magia nel mio tentativo di conquistarti a distanza. Quante volte abbiamo dormito insieme al telefono perché la distanza che ci separava era più grande del sentimento che ci univa.
Dio solo sa quante volte ti ho fatto piangere... non avrei mai voluto farti del male, conosci la storiella del piccolo scorpione? Sa solo pungere... e non perché non sa amare, lo fa solo perché questa è la sua natura. Ha paura di tutto, del cambiamento, del coraggio, della vita stessa, non può fare diversamente... si deve difendere.
So bene che mi hai sempre considerato un eterno immaturo... sai... accanto a te mi sono sempre sentito un eterno bambino, mi perdonavi sempre… anche se non me lo meritavo ed eri lì, ogniqualvolta avessi bisogno di sentire il calore umano di una vera e sincera amicizia, amore. E così facendo... non mi hai permesso di crescere... Come facevo ad essere il tuo uomo se mi hai sempre trattato da bambino?
Quanta strada hai fatto per me... quante volte hai scombussolato tutti i tuoi impegni per potermi raggiungere e che cosa ho saputo darti... che cosa?



Adesso sto suonando la mia chitarra al buio... seduto sulla mia poltrona preferita, nel mio mondo preferito... ho tutto quello che avrei voluto sempre... un brillante futuro da colorare... un'eccellente carriera, una bellissima casa che mi ripara da tutto e da tutti, eppure...