Alberto Rondalli

Alberto Rondalli
Nato a Lecco nel 1960. Rondalli dal 1989 si occupa di cinema e teatro frequentando la scuola Europea di Milano e "Ipotesi cinema" diretta da Ermanno Olmi. Ha al suo attivo seminari di regia teatrale con Eugenio Barba e di regia cinematografica con Krysztof Kieslowski.

In teatro realizza le messe in scena di Sceriffo 2 (1990) di Renzo Casali, "Tango Notte" (1991) e "L'amante" (1992) di Harold Pinter.
Al cinema realizza i corti: "Tre tocchi, tre volte" ('90), "Il nome di un fiore" ('91), "Le nuvole" ('92), "Il temporale e le parole" ('95), "Nuovi esercizi" ('96-97).
Il mediometraggio "Quam Mirabilis" del 1993 gli vale la menzione special della Giuria e Miglior Recitazione al Festival Internazionale di "Molodist" a Kiev, Miglior regia al "Sulmona Cinema '94", Miglior Interpretazione al festival di "Dunkerque", Premio Speciale della Giuria al "Festival di Messina".
Nel '95 la rivista Linea d'Ombra lo premia come miglior regista giovane nell'edizione del '94.
Nel 1997 realizza il suo primo lungometraggio "Padre Pio da Pietralcina" prodotto da Rai Uno.
Per la televisione tra il 1997 e il 1998 sigla diversi documentari per il programma A sua immagine per Rai Uno, Bonito per Rai International, Qualcosa di Tufo per Rai International ('98). Nel 2000 dirige il film "Il Derviscio".

Il derviscio


Ahmed Nurettin è un derviscio dell'ordine dei Mevlevi, ovvero sceicco della tekija, capo della comunità civile e religiosa. Una sorta di parroco di campagna. Siamo a inizio Novecento in una cittadina qualunque dell'impero ottomano. Nurettin vive di certezze assolute dategli dal Corano, ma l'arresto di suo fratello minore (innocente) provoca in lui una rabbia tale e un desiderio di vendetta che fanno vacillare tutto. Tradisce un amico, fomenta una rivolta, è ossessionato dall'odio. Un uomo normale che reagisce con rabbia a un torto e a un dramma. Proprio le sue debolezze, appena emerse, segneranno il suo destino. Tratto dal romanzo del bosniaco Mesa Selimovic, Il derviscio e la morte , Dervisè un bel film, sia per contenuto che per confezione, non certamente facile. La Cappadocia, che ha fatto da location per il set, regala paesaggi «non luoghi», in cui la disperazione del derviscio, il suo vogare in cerca di una sola verità (ormai le ha perse tutte), trovano lo «spazio» più adatto per elaborarsi. Attuale, non solo perché si parla di Islam, ma perché Nurettin è un uomo di tutti i tempi, o senza tempo, che deve lottare con se stesso, con le sue debolezze, prima ancora di lottare con la vita. Una nota speciale va alla fotografia di Claudio Collepiccolo, eccezionale e molto difficile da rendere così realistica. Un viaggio bellissimo in un altro mondo, in un'altra cultura, ma con le nostre debolezze. (andrea amato)
Fonte: www.delcinema.it