Niki Karimi

Niki Karimi è nata e risiede a Teheran. Partecipa, fin dalle elementari a lavori teatrali. La sua passione per il cinema, l'ha ispirata per il suo lavoro di attrice. Diventata famosa in Iran, ha vinto numerosi premi e riconoscimenti anche internazionali. Recentemente è stata membro della giuria al Locarno Film Festival e al Thessaloniki International Film Festival.
Fonte.www.filmfilm.it/www.sentieriselvaggi.it

Il suo debutto avviene con la pellicola Jamshid Heydari's Temptation del 1989. In seguito ha accesso a molte pellicole iraniane di successo, fra cui Behruz Afkhami's The Bride (1990), Dariush Mehrjui's Sara (1994) e Pari (1995).
Oltre al suo lavoro di attrice, di traduttrice e di scrittrice, debutta nel 2001 anche come regista del documentario To have or not to have, prodotto da Abbas Kiarostami.
Nel 2006 partecipa, con la sua seconda opera Chand rooz ba'd..., nella quale recita anche, alla prima edizione di "Cinema - Festa Internazionale di Roma".

Recensione di Chand Rooz Ba'd... - A Few Days Later...
Niki Karimi, giovane regista nonché protagonista di A few days later…, opera seconda presentata in concorso durante la prima Festa del Cinema di Roma, ha uno sponsor importante. E' stata infatti per un lungo periodo assistente alla regia di Kiarostami.
Nonostante questa onorevole, ma anche onerosa, gavetta, la Karimi riesce a sviluppare una sua etica e una sua poetica del e nel cinema, tracciando nel suo lavoro sferzante e diretto - dura appena '78 minuti - un quadro preciso e provocatorio della condizione umana del popolo iraniano di oggi.
Utilizza la figura di una grafica di carriera, mettendo in chiaro fin dalle prime battute che tratterà di uno spicchio di Iran che è quello più moderno, più progressista, e per questo più isolato dal resto della società, estraniato in una terra che, per molti versi, respinge ciò che non è “tradizione”.
- Il tenere o no il bambino è una tua scelta.
- Non siamo mica in un paese occidentale!.
Questo lo scambio di battute che riassume tutto il sottotesto del film.
Karimi lavora per sottrazione, descrivendo la difficile situazione della protagonista, che lei stessa sceglie di interpretare, attraverso ciò che non c'è. Il contatto (mancato) con il proprio uomo, che si intravede per un istante verso la fine del film, ma che è presente ossessivamente nella segreteria telefonica della giovane grafica, è il motore di tutta la dinamica della storia.
Non c'è, non si vede, eppure condiziona pesantemente l'ossatura del film, l'architettura narrativa di tutta la pellicola. Il cuore pulsante di quel che alla protagonista sta a cuore è raccontato attraverso il suo “lato pubblico”, il suo lavoro, e le difficoltà di rapportarsi con i colleghi, in special modo con le figure maschili.
La regista parla così, che ha afferma che un titolo altrettanto efficace per il suo film sarebbe tranquillamente potuto essere “Distanze”, di una storia di incomunicabilità, di disagio interiore, senza drammatizzazioni o patetismi, riuscendo in più a tenere desta l'attenzione, non scivolando mai in momenti di stanca. Ma d'altra parte la storia stessa è metafora più ampia di quel che è oggi la realtà iraniana, che tende sempre più ad isolare chi non si allinea con la vulgata governativa.
(Pietro Salvatori)

La recensione di "Yek shab-One night":
In "One night" di Niki Karimi nulla sembra potere andare al di là dei binari di una narrazione conforme all’idea che l’ha fatta nascere. Un cinema di regole e rispettoso dei tempi, ma in cui la messa in scena appare solo di maniera
C’è un cinema iraniano che prova un grande desiderio di raccontare storie, sentir(se)le narrare come manifestazione primaria del film. È l’anima mediorientale che cresce e che desidera comunicare al mondo la propria coscienza collettiva in evoluzione. Un Paese, l’Iran che fino agli anni '70 chiamavamo Persia, un Paese che l’occidente ha forse incontrato, davvero, per la prima volta durante la “rivoluzione” degli ayatollah e che da allora persegue, con il cinema e i suoi percorsi narrativi, anche una seduta di autocoscienza guardando alla propria cultura, ma con l’occhio rivolto verso il mediterraneo e oltre.
Niki Karimi non intende sfuggire da questo clichè e, mutuando da Kiarostami, suo maestro e predecessore, ci presenta Negar, giovane donna iraniana in crisi con la madre. Negar è costretta dormire fuori casa, la madre vuole la casa libera. Negar vagherà tutta la notte accettendo passaggi in auto da sconosciuti. Tre uomini, tre storie, tre Iran che passano sotto gli occhi della giovane protagonista, come i tre stadi dell’evoluzione di questo paese.
Questa la prevedibile fissità di One night in cui nulla sembra potere andare al di là dei binari di una narrazione conforme all’idea che l’ha fatta nascere. Un cinema di regole, rispettoso dei tempi: un rullo per ciascuna storia, nessuna sbavatura, tranne un finale in cui il ritmo si allunga, così come i piani sequenza, in una sospensione da “ora del lupo” come diceva Rohmer alcuni anni fa. Purtroppo è un cinema che abbiamo già visto nel profilo dei protagonisti che guidano un’automobile, il terzo, a nostra memoria, di autori iraniani. È un cinema, si ha l’impressione, che sia di grande sollievo per chi lo realizza, ma che giri a vuoto nella fruizione finale. Un filmare in cui l’immobilismo dell’ispirazione narrativa si scontra con la corsa verso una occidentalizzazione culturale che non convince, che sembra svuotare di contenuti anche la tradizione messa in scena alla “iraniana” che si era servita, spesso, di un neorealismo che nel film della Karimi appare solo di maniera e per averne una prova basta ripercorrere la logorroicità dei dialoghi per scoprire che, in fondo, il film è solo una tesi da difendere che vuole che il futuro sia donna in contrapposizione ad una tradizione da rifiutare trasposta nei personaggi maschili. Anche in questo stereotipo sta il limite del lavoro della Karimi.