La Poesia Azera Contemporanea

Oct 272013
 

La Poesia Azera Contemporanea

nei versi italiani di Davide Gualtieri

con la collaborazione e la consulenza di Maìs Nouriev

Introduzione di Giampiero Bellingeri

poesia azera

 

Di tocchi e zampilli: sui cerchi nell’acqua della poesia azerì

di Giampiero Bellingeri

 Il ponte fra “le nostre culture”, come scrive e diventa il Maestro Davide Gualtieri, è magari l’arco di un’iride delle espressioni di una sola, immensa cultura, diversificata nei secoli, nella storia.

Adesso, quando le pulsioni, le passioni nazionali(-stiche) segmentano e tormentano un’area preziosa, oltre i fin troppo battuti cigli e marciapiedi delle Vie della Seta e del Petrolio; adesso, nel momento in cui si viene a scoprire con meraviglia un Paese, ecco che restiamo spaesati: a fronte di una familiarità, delle possibili forme di identità e identificazioni, della sorpresa.

Un riconoscersi, un ritrovarsi, ci pare, no?

Nel rimpianto di non esserci accorti prima di tali acuti riflessi.

Tanto che non sarà blasfemo, offensivo – nell’ansia preoccupante delle autoesaltazioni, durante le operazioni di ricerca di una identità, sempre complessa e mai pura abbastanza, e insidiosa, velenosa, le cui attestazioni peraltro non sono mai andate perdute, si rendono anzi suscettibili di stravolgere coscienza e orgoglio esuberanti di appartenenza -, non sarà offensivo, si diceva, l’atto di provare ad affacciare l’affermazione, timida, che pure il turco “azero” (ma io seguito a chiamarlo azerì) non è in fondo che una delle varie lingue di un solo, articolatissimo linguaggio.

Così, quell’iride appena colta, e abbracciata con delicato e disperato slancio a descrivere una iniziativa lodevole, prenderebbe aereo corpo dalle goccioline, rimaste sospese fra cielo e terra (e timorose all’idea di scendere giù, in questo mondo di primati e dispregi alimentati da rivalità fittizie, ma accentuate all’uopo soffiando sul fuoco delle fucine diaboliche, inesorabili nel forgiare e sfornare identità incandescenti), dagli spruzzi di quelle fonti antiche eppur fresche.

Scaturirebbe proprio da lì lo zampillo della declinazione in turco azerì di sensi e nomi in poesia, in una “pronuncia” cangiante dell’arte poetica raffinata, assunta e condivisa nell’islam, ma incubata tra il mondo iranico, semitico, bizantino, e la romanità, pagana e cristiana.

A legare alla nostra terra comune, immiserita nei contrasti, quelle gocce distillate (o lacrime?) interverrebbero i tocchi di un pianista e poeta. Quasi le corde sollecitate e suggerite dai testi, dai fogli d’album, legassero a sé e tra loro colori e crome delle voci qui eseguite. Ma c’è una ulteriore funzione che l’immagine di quelle corde mi suggerisce, un’eco: quella di collegare le attuali espressioni in azerì ad altre emergenti turgide dalla profondità dei tempi, cioè, di nuovo, dalla storia.

Ecco allora che mi permetto qui di ricordare e cogliere ancora qualche nota disposta in antiche mie annotazioni, interpretazioni. Non chiedo certo licenza – sarebbe arroganza – di andare in cerca della pristina “dizione autentica” in quel dato turco; (né di andare a scomodare, nel rito mondano delle celebrazioni ufficiali, Nizami di Ganje).

Una poesia di Qulu Ağsəs 

In azero:

Görsən ki, qaranlıq çökür aləmə,
Görsən ki, axşamdı…

fikir eləmə.

Bir uçuq yuxudu gecənin boyu
Nə qədər imkan var

rahatlan, uyu…

Qəflətən bir çağa salar hay-həşir
Səhər – körpəsidi doğan Günəşin.
Onu ovutmağa tələsər hamı,
Beləcə, salarlar yenə axşamı.
Təzədən qaramat basar dünyanı,
Hanı doğan Günəş?

Körpəsi hanı?

…Görsən hər tərəfdən əlin üzülür,

Görsən üşüyürsən…

yandır özünü…

 

Traduzione in Italiano a cura di:  Davide Gualtieri/ Mais Nouriev

Se vedi il mondo sprofondare nel buio,
se vedi che già viene la notte,
non essere triste.

In pallido sogno,  la notte effimera,
fintanto che puoi,
riposa    e dormi.
Il sole del mattino sveglierà d’improvviso

il pianto    dei bambini.
Tutti correranno a lenire quel pianto.

Tornerà la sera

di nuovo il buio   per tutti   al mondo.
Dov’è… il sole, che sorge?

Dov’è il mio bambino?

La vista della mia mano è dolorosa,

come un ustione.

 

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